il Perù di |
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Questo è un articolo apparso sul "CORRIERE DELLA SERA" del 3
dicembre 1985. Scusate le imperfezioni, ma ho ricavato il testo dalla scansione di una copia abbastanza ingiallita e rovinata. Spero che gli autori degli articoli pubblicati non se la prendano per questo piccolo "furto"… |
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Gli scavi di una missione archeologica italiana in Perù stanno liberando dal mistero i geoglifi della pampa PISTE PER LA DANZA DELLA PIOGGIA Le grandi linee che formano le immagini (collegate al concetto di fecondità) sarebbero sentieri su cui dovevano muoversi le processioni di popoli minacciati dalla siccità – Alla fine anche la speranza crollò e gli agricoltori abbandonarono il territorio – Entro pochi decenni le figure saranno coperte dalle dune che avanzano. I misteriosi disegni nel deserto di Nasca, nel Perù meridionale, cominciano a rivelare più chiaramente il loro significato. Oggetto di innumerevoli interpretazioni che hanno spaziato dal calendario astronomico alla raffigurazione di costellazioni celesti, per arrivare alle piste di atterraggio per visitatori extraterrestri, i geoglifi scalfiti nella pampa peruviana sono oggetto per la prima volta di uno studio che ne prevede l’analisi parallela coi disegni presenti sulle ceramiche e con i dati stratigrafici dei centri abitati dove vivevano le popolazioni che realizzarono le figure nel deserto. Autore dell’indagine è il Centro studi e ricerche archeologiche precolombiane di Brescia, diretto da Giuseppe Orefici, impegnato dal 1983 in un progetto quinquennale di scavi nell’area di Nasca. Secondo i dati emersi in questa prima fase di studi i geoglifi sarebbero “percorsi di preghiera" in forma di figure di animali relazionabili al concetto dell’acqua e della fertilità. Quindi, sentieri sacri che i fedeli percorrevano durante i riti per invocare la pioggia. La tradizione di spazi e percorsi sacri da adibire a momenti rituali in cui personaggi mascherati eseguivano danze e cerimonie per invocare gli dei della pioggia è attestato presso diverse antiche culture pre-colombiane e anche tra i Pellerossa nordamericani fino all’epoca moderna. Non tutti i geoglifi rispondono a questa interpretazione (per alcuni gruppi dl linee è stata accertata la funzione calendariale) ma indubbiamente questa ipotesi sembra meglio correlabile alle caratteristiche culturali e alle esigenze vitali delle tribù che li realizzarono, di quanto non lo siano altre ipotesi finora avanzate. Durante l’indagine archeologica le diverse fasi stilistiche individuate nei geoglifi hanno trovato corrispondenze con le immagini dipinte sulla cera- mica e con gli eventi climatici (alluvioni e periodi di crescente desertificazione) chiaramente riscontrabili negli scavi effettuati dalla missione italiana. E’ stato così possibile interpretare le immagini in termini di trasformazioni sociali e ideologiche. La pampa di Nasca è una pianura color rosso-bruno, coperta di ciottoli e schegge di pietra, dove i disegni furono realizzati asportando le pietre superficiali e mettendo allo scoperto il terreno sottostante più chiaro. I geoglifi più antichi risalgono all’800 avanti Cristo; i più recenti al 600 della nostra era. I disegni di animali sono una trentina dl cui 18 tipi di uccelli (condor, fregata, colibrì, pappagallo ecc.) e dodici di altri animali tra cui il ragno, la scimmia, l’orca marina, il cane e la rana. Vi sono poi figure di spirali (le più antiche), triangoli, trapezi e gigantesche linee rette che raggiungono i dieci chilometri di lunghezza. A realizzarli furono i popoli che crearono le culture Paracas e Nasca. I loro villaggi, allineati lungo i piccoli fiumi gravitavano sul centro culturale di Chauachi, una città-santuario di ventiquattro chilometri quadrati dove ora si trova uno dei tre cantieri di scavi degli archeologi italiani. I geoglifi sono prevalentemente visibili solo dall’alto ma come si è detto non era la visione il vero scopo dei disegni. Il fatto quindi non deve stupire; molti altri popoli precolombiani realizzarono opere simili destinate ad analoghe funzioni. Per quanto riguarda la difficoltà di realizzazione c’è da dire che diversi sono gli errori e le correzioni riscontrabili che, comunque, non dovette presentare eccessivi problemi per popoli abilissimi nella tessitura e quindi allenati a ragionare in termini di ascisse e ordinate (trama e ordito) che trasferite su grande scala, permettevano la realizzazione delle immagini sul terreno. I 1400 anni durante i qual furono realizzati i geoglifi son stati divisi dagli studiosi in tre periodi caratterizzati da diverse tipologie iconografiche (vedi schema) che rappresentano tre diversi momenti culturali. Per prime compaiono le spirali, quindi le figure "naturalistiche” di animali e vegetali e la prima fase – che va dall’800 a.C. al 100 dC. – si conclude con la comparsa di immagini di uccelli. Il passaggio alla seconda fase è graduale, ma l’iconografia cambia profondamente: vengono eseguite sole immagini di uccelli, sempre più grandi e con il piumaggio evidenziato da una visione in pianta. L’uccello è il simbolo della pioggia per eccellenza e l’enfasi con cui è rappresentato suggerisce una richiesta di pioggia sempre più pressante. L’abbandono delle altre immagini animali sembra riflettere una crisi ideologica grave ma, poiché non ci sono evidenze archeologiche di eventi traumatici, si deve supporre che la classe sacerdotale riuscì a operare una trasformazione graduale. Per quattrocento anni le figure di uccelli (grandi fino a 140 metri) dominarono Il deserto di Nasca in una corale richiesta di pioggia. Ma gli dei non risposero alle suppliche dei popoli incalzati dalla siccità e i geoglifi della terza fase sembrano il risultato di una crisi ideologica che dovette avere risvolti traumatici sull’assetto sociale. La classe sacerdotale fu verosimilmente abbattuta e il grande centro di Chauachi abbandonato. Nei livelli archeologici di questo periodo spessi strati di argilla portati da devastanti alluvioni si alternano a fasi sempre più ravvicinate di siccità. Le tribù cominciarono ad abbandonare i villaggi e migrarono verso est e verso sud in cerca di nuovi territori. Nel deserto i disegni si fanno via via più schematici, lunghe linee attraversano il territorio in tutte le direzioni senza rispettare i geoglifi precedenti; anzi, sembrano volutamente cancellare le ormai inutili divinità-uccello che non hanno ascoltato le richieste degli uomini. Una furia iconoclasta pare aver pervaso le popolazioni che comunque si riconoscevano ancora nelle divinità più antiche e risparmiarono le spirali e le grandi immagini del periodo arcaico. Ancora una volta, però, gli dei della pioggia ignorarono le invocazioni, i campi inaridirono, la vita delle popolazioni Nasca divenne sempre più difficile. A niente servirono le imponenti cerimonie sui grandi spazi geometrici, disegnati sulla pampa desertica. Con la crisi ideologica crollò anche la struttura sociale. La classe sacerdotale che fino allora aveva garantito e controllato la coesione dei diversi gruppi umani venne spazzata via, e anche la struttura organizzativa subì un tracollo (le ceramiche votive di questo momento denotano un netto crollo tecnico). La sabbia del deserto comincio coprire i segni del potere abbattuto e lentamente la grande stagione dei geoglifi si spense. Questo in rapida sintesi il quadro che gli scavi italiani permettono già di delineare Gli archeologi sono impegnati in tre diverse località: il centro cerimoniale di Chauachi (500 a.c. – 550 d.C.) e gli abitati di Pueblo Vejo (400 a.C. – 1500 d.C.) e Huayuri ( 1000 1500 d.C.) L’imponente planimetria di Chauachi mostra che il centro cerimoniale è diviso in almeno due grandi settori, realizzati in tempi successivi, dentro ai quaii sono racchiuse numerose costruzioni terrazzate e una grande piramide di 110 metri di lato e 40 di altezza. L’intero complesso è costruito con mattoni di fango, canne e stuoie (utilizzate per rinforzare le strutture) e sorge sul lato sinistro dei Rio Nasca. oltre il quale si stende la pampa coi geoglifi. Quello effettuato dagli archeologi italiani e il primo vero scavo di Cahuachi condotto con metodologie scientifiche e interessa un settore periferico della città. Gli strati hanno messo in luce una tormentata storia climatica fatta di periodi di siccità alternati a fenomeni alluvionali che si ripeterono ogni 20-30 anni depositando spessi strati di sterile argilla. Tale situazione impose alle popolazioni continui allontanamenti e ritorni puntualmente registrati negli strati archeologici. La vicenda climatica di questi territori è ancora più evidente a Pueblo Vejo. Lo scavo mostra una successione di fasi abitative e di abbandoni del luogo fino ad arrivare a un grande cataclisma, verificatosi tra il 700 e il 900, che stese sull’abitato e sulle necropoli uno strato di due metri e mezzo di fango. Lo stesso evento colpì Chauachi, ormai in abbandono, depositando blocchi di pietra perfino sulla sommità della grande piramide. A Pueblo Vejo la vita riprese con caratteristiche culturali molto diverse per poi spezzarsi definitivamente forse a causa di una guerra: la subitaneità del dramma è rivelata dalle pentole ancora sul focolari, dal cesti dl lavoro delle donne ancora al loro posto. Il più tardo dei tre scavi è quello di Huayuri. L’insediamento, nascosto in una stretta valle, è formato dal resti di due abitati costruiti uno sulle rovine dell’altro; il primo fu distrutto da un incendio e nel secondo la vita finì improvvisamente come a Pueblo Vejo. Ora tutto è sigillato sotto spessi strati di cenere. Chauachi, Pueblo Vejo, Huayuri, tre scavi che Giuseppe Orefici affronta con l’aiuto di decine di studenti e volontari in campagne annuali di ricerca che si protrarranno almeno fino al 1988. Un meticoloso lavoro scientifico che ci aiuterà a capire meglio le vicende di questi popoli senza voce che abitarono ai margini della pampa; solo così sarà possibile rendere leggibile il difficile linguaggio dei geoglifi di Nasca che ora l’avanzata del deserto minaccia di seppellire entro pochi decenni. Viviano Domenici |
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STUDIAMO IMMAGINI E OGGETTI PER CAPIRE LA VITA DEGLI UOMINI Dalle prime campagne di scavo di Max Uhle (1901, 1905), vero scopritore e primo studioso della ceramica Nasca, si effettuarono molte indagini archeologiche nell’area di sviluppo della cultura che interessò il territorio compreso tra Paracas e Acarì, nel Perù meridionale. Ma tutti gli studi effettuati si limitarono a verificare la sequenza cronologica della ceramica stessa senza mai mettere in relazione la cultura materiale coi mutamenti politico-sociali della popolazione che la produsse. Ciò ha determinato la mancanza di collegamento tra archeologia ed etnologia allontanando la visione antropologico-sociale dall’analisi storico-artistica. Uno del principali obiettivi che si è prefisso il Progetto Nasca, nell ‘arco del quinquennio di questa prima fase di studio, è invece quello di concepire l’archeologia come scienza sociale. Per questo si sta operando parallelamente in tre indipendenti scavi, legati tra loro da almeno un periodo culturale, al fine dl ottenere il maggior numero di dati relativi alla vita quotidiana, sociale e religiosa della popolazione. Per gli stessi motivi lo studio delle variazioni iconografiche del materiale ceramico relazionato alla stratigrafia (intesa come momento culturale evidente), non si ferma alla passiva classificazione tipologica e di fase, ma è il movente di interrogativi sulle cause dei mutamenti di espressione simbologica. La dinamica della tipologia costruttiva nella città-tempio di Cahuachi, i periodi di non utilizzo di alcune piramidi a gradoni fanno comprendere quali variazioni si siano avute, talvolta parallelamente a migrazioni parziali o totali della popolazione, dovute a cause climatiche. Collegando i diversi elementi si può comprendere, ad esempio, perché l’apparizione della colonna, come sistema costruttivo, avvenga solo nel periodo terminale di una fase che segna il chiudersi di una nuova epoca storica, politica e sociale. Successivamente non si ha più (sino al momento attuale) l’evidenza di ulteriore utilizzo di tale elemento architettonico e ciò fa comprendere anche come la parallela scomparsa dalla ceramica di elementi iconografici rappresentanti divinità del pantheon di Nasca indichi un mutamento radicale dell’organizzazione politica, sociale e religiosa di questo mondo culturale. Questo esempio spiega come l’individuazione di una particolare ceramica nera (con "incisiòn no cortante") avvenuta nel 1985 nei materiali provenienti da Cahuachi, e la sua denominazione "fase Nasca zero", non sia stata ritenuta particolarmente importante agli effetti di una nuova classificazione, ma perché rappresenta l’anello di congiunzione tra l’ultima fase della precedente cultura e la prima fase Nasca. Il suo parallelo rinvenimento nella cittadella di Pueblo Viejo, in connessione con il sistema costruttivo in cui viene utilizzato l’adobe conico (l’adobe è un mattone dl terra cruda, ndr), con la presenza nello stesso strato di ceramica Nasca delle fasi iniziali, mostra nuove connessioni indissolubili tra due momenti culturali (Paracas e Nasca) appartenenti a una medesima tradizione. Questi sono alcuni dei motivi che hanno indotto ad operare contemporaneamente in scavi differenti dove lo studio antropologico concorre a dare importanti indicazioni sugli usi ed i rituali dello stesso momento culturale (deformazioni, perforazioni craneali), sulle malattie, la dieta e le caratteristiche fisiche di questa popolazione. L’analisi dei resti alimentari, dei coproliti, degli utensili agricoli, gli amuleti, gli ornamenti, i giocattoli ed il sistema di tessere sono concepiti sempre come elementi di collegamento tra le differenti espressioni umane nel tentativo di verificarne le variazioni sociali. Dalle origini del mondo religioso, alle grandi linee tracciate nella "pampa”, sino agli osservatori astronomici di epoca più tarda, nulla viene tralasciato al fine di ricomporre i momenti dell’espressione dell’uomo di Nasca. L’apporto della comparazione dei diversi elementi culturali offre la possibilità di trarre nuove considerazioni sulla popolazione che ha interessato il territorio di Nasca. La mancanza di scrittura, l’assenza di una continuità tradizionale, a causa delle sovrapposizioni avvenute nelle epoche successive (Wari, Chincha ed Inca), la distruzione della matrice panamericana operata dai conquistadores spagnoli, indicano questa strada come l’unica per distinguere la voce di un popolo che non è rimasto noto per una sua fase imperiale e che per di più, a causa della situazione climatico-ambientale, ha lasciato le proprie evidenze culturali sommerse dalla sabbia e dal materiale alluvionale. Solo l’archeologia, con queste prerogative, potrà permettere la sua collocazione nel processo evolutivo storico del continente americano. Giuseppe Orefici Direttore del Progetto Nasca Centro Studi e ricerche archeologiche precolombiana – Brescia |
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